Ex Abrupto
EX ABRUPTO
Lieve la vita, lieto il viver
mio sì limpido e affabile,
di puro senno e cauto core
non per l'uopo parato ancor
che con cheta però paravasi:
tal era dei miei anni il fiore.
Ah, quegl'oneri, quel rigore
quei diletti e la credenza
d'aver già i doni di vita avuto;
tal era dei miei anni il fiore.
Ingenuo il cor attendea
né vigilava la mente,
ché non ancor conoscea,
che il cecchin lo sgarbo parava.
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Scoccato il dardo, nel petto s'innesta.
Chi dalla grave quiete or mi desta?1
Qual irrequietezza è mai questa?
Se' tu, Amor,
antico ardor ch'or m'arde in cor?
Se' tu, Amor,
dell'alme il moto, degl'eroi il valor?
E chi del fuoco è favilla?
A qual vista riversa la pupilla?
Quand'ancor mente era in agitazione
sapea già il cor mio la cagion
di tal sobbalzo e la risoluzione:
Ben se' tu, donna,
alto candor, più alto desiar!
Tu, ch'anco amor envesscasti2
coi due lumi tal l'occhi tuoi.
Ahimè! Né fiumi e né mari
or men füoco faran fiammar.
Cosa sei tu, Amor,
ch'ogni credenza in dubbio poni,
d'ogn'om il riso et ogne pena del cuor?
Madama, io m'ho da magnificarti
in magne tue vertuti
sì che ragion pur si suada,
e pur de poeti venuti
le più alte parol replicarti:
Mira spuntar la rosa,3
tra i fior 'l più avvenente
ma di tua beltà invidiosa.
Ecco, tendo a te il fior nobile:
e si ravviva il dolce tuo viso ridente.
4
Ebbene sono io ravvivato
ché a me basta stare con te.
Ma io sol vivo col cheto creder:
l'imago in mente si figura
e solo azzardo azion futura.
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E t'ho lodata,
magnificata,
t'ho desïata,
tanto ho sperato
d'avvolgerti colle ingenue braccia;
ma l'amara sentenza
dall'amore scartato
spensemi tutta l'ardenza.
Consolazione alcuna
non v'è a questa tortura
perversa che logora lo spirto,
che rende irto il viver mio.
Giacché la pessima pena
perseguita ancor il martoriato cor
è come lo 'nferno in terra:
tanta la dannazione
quanta la divina elevazione
de l'espirto ch'esclamommi guerra.
Cosa sei tu, Amor,
che pria rapisci,
poscia ferisci?
Ah, qual duoli voi ignorate
tutte voi chete belve;
per Amor non ansimate
né desperate per le selve.
Piango la pace del viver
passato senza dubbio
sul viver mio e quel creder
d'aver già i doni di vita avuto.
Or patimento m'incombe
giacché la pessima pena
è lo spirar senza più gaudio:
a te tutto lo affidai;
è lo spirar senza più speme:
ché la spé squarciasti col gladio
è il dannato rimembrar
quanto 'l mio velle ti fu brutto.
Né odi né t'amo5
più.
Lo so io, Amor:
tu sei l'Uomo
che perfido ti nomina
nei suoi poemi
da secoli e secoli
non per spé dare,
all'anima insegnare,
gli uomini invaghire
le donne adescare;
tu sei l'Uomo
timido, vile
che la donna temette
e l'arte s'inventò
dell'amare,6
il mendace rito
del perseguitare
la donna con dolcezze
frasi e tante carezze.
Qual perverso è l'Uomo.
1 "Chi dalla grave, immemore, / quiete or mi ridesta?" vv. 81-82 de Il Risorgimento di Leopardi, in cui
l'animo e il cuore, da tempo aridi, si risvegliano.
2 "Amor, tu m'envesscasti con doi lumi / de doi beli occhi [...]", versi di Raffaello Sanzio.
3Gerusalemme Liberata, canto XVI, v. 105.
4 Dalla tradizione letteraria latina del "dulce ridentem".
5 Odi et amo: "Come lo faccia forse ti chiedi? Non lo so, ma sento che accade e mi struggo". Il verso della
ballata invece segna una rottura con questi versi di Catullo, indicando un'apatia irreversibile.
6 Riferimento all'Ars Amatoria ed a tutte le opere con decaloghi sull'amore ed altri comandamenti
Salvatore Mannino